Testimonianze tratte dal libro di Antonio Casti “Lionnora in Santu ‘Engiu”

Eleonora D'arborea a San Gavino Monreale

Riportiamo alcuni brevi stralci dal libro di Antonio Casti “Lionnora In Santu ‘Engiu”, i più significativi ai fini di questa ricerca, di alcune delle centinaia di testimonianze raccolte tra i sangavinesi, parecchie delle quali già diversi decenni fa. Molte comprovano quanto antiche e radicate fossero le voci della tradizione riguardanti le visite di Eleonora, e gli ambienti che essa dovrebbe aver frequentato nel villaggio di San Gavino. Altre invece provengono da una diretta conoscenza che quelle persone ebbero di quelli ambienti, ossia la chiesa, la cripta, il monastero, il passaggio sotterraneo ecc.. Altre ancora parlano solo degli scavi che, alla ricerca di cose di valore, da sempre si effettuavano in “su coddu de santu “Engiu” recuperando spesso reperti di valore, non solo storico.(Antonio Casti)

  • Silvestro Carola (n. 1930) Doveva essere l’anno 1948; noi operai stavamo ancora scavando le fondamenta per erigere la scuola Vescovile quando un giorno, mentre facevo dei trasporti con la carriola, proprio lì tra la chiesa di San Gavino ed il cortile di Santa Severa, per poco non mi ruppi l’osso del collo inciampando nel pietrame dei muri interrati del sottopassaggio. Fino ad allora i resti di una costruzione si vedevano ancora nel cortile di Santa Severa, a ridosso del muro del camposanto, La sua base era grosso modo di sei metri per sei; i muri erano in pietra senza calce, lastroni di pietra di Sardara (il riferimento è cosiddetta “domu de Lionnòra”, n.d.a.) Una volta nel 1956, stavamo lavorando a sottomurare i muri interno della chiesa di San Gavino Martire  quando, improvvisamente, si aprì un grosso buco nel pavimento che per poco non inghiottì un operaio che lavorava con noi. Subito accorremmo e riuscimmo a tirarlo fuori prima che precipitasse. Era un grande buco quello che si era aperto; ricordo che dopo avevamo dato fuoco ad alcuni fogli  di giornale e li avevamo gettati dentro, ma l’aria morta che vi regnava li spense prima che arrivassero sul fondo della cripta, di cui non riuscimmo così a constatare la profondità. Quella apertura io ricordo che era vicina al pulpito, a sinistra in fondo alla navata, Il caposquadra quel giorno non volle che si proseguissero i lavori. Più tardi ci sistemarono sopra una soletta in cemento armato per chiudere il buco; ma a noi operai che avevamo- assistito al fatto ci mandarono fuori e dal giorno non ci fecero più entrare. Rimasero a lavorarci solo quelli che dormivano dentro la chiesa, il caposquadra ed alcuni operai di fuori paese; e, secondo me, qualcuno di essi sicuramente non dovette trattenersi dallo scendere nella cripta.
  • Tzia Bissentica Usai ( n. 1902 – m.l991 ) lo sono nata nel vicinato di Oristano ma mi sono trasferita ad abitare con mio marito nel vicinato di San Gavino. Dovevo avere già due figli (quindi verso gli anni 1928-’29, n.d.a.) nei giorni  in cui il vescovo passò più di una volta, a pomeriggio avanzato. di fronte a casa mia con tziu Serbestianu Acallai ed alcune altre persone, mentre andavano a scavare nella vicina chiesa di San Gavino martire. Avevano scelto tziu Serbestianu per scendere nella cripta perché era un omino piccolo e vecchio, e che aveva ancora poco tempo da vivere. _ ..ed egli era sempre con il piccone, con la pala , con “la candela a carburu” Tziu Serbastianu  lo interpellavamo e che cosa ha trovato là sotto?  Una santa, una grande madonna d’oro coricata rispondeva, l’ho anche toccata…..là sotto c`è dell’oro ci sono anche i telai d’oro.  Più tardi Vitalia Turnu mi disse che avevano trovato una cassa tra la porta del Camposanto e la porticina da cui si portavano fuori i morti (trattasi dell’accesso esterno alla cripta. N.d.A. ) e che dovevano portarla a don Onnis quelli dell’azione Cattolica.
  • Tzia Maria Scanu (1915 – 1992) Dai miei nonni ho sempre saputo che li sotto la chiesa non si doveva scavare. Ricordo tzia  Luisa Flgus che aveva parlato con “sa spiridada de Masuddas” che le aveva detto: Guai a toccare quella lastra con l’anella che si trovava davanti alla balaustra, che stava a chiudere un’apertura attraverso la quale poteva passare anche un uomo molto grasso. perché là sotto c’è una chiesa con San Gavino d’oro da quando il paese era a Nuratzeddu, e poiché si diceva che qui anticamente fosse finita la guerra. ll pavimento allora rimbombava molto. Dio ce ne scampi! Se scendete là sotto non ci sarà più religione. né sacerdoti né parroci, né vicarìa, nè parrocchia. Quando esondava il canale, s’arrieddu de Marianna Garau”, ci facevano riparare nella chiesa di San Gavino. Noi eravamo i primi perché abitavamo più vicino. e cantavamo come se fossimo in processione. Le teste scolpite all’interno della chiesa non ho mai saputo chi rappresentassero. Per la festa di San Gavino – non montavano chioschi e non si vendeva niente: c’era soltanto la messa la e la processione.

Prima Parte.